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Avete mai assaggiato una foglia di tè appena colta? Il suo sapore non somiglia affatto a quello del tè che beviamo. Le foglie devono infatti subire una lavorazione specifica per sviluppare le caratteristiche che rendono unica ogni tipologia di tè. A seconda del trattamento ricevuto, le stesse foglie possono diventare tè verde, oolong, nero e altro ancora. In questa sezione esploreremo le principali tecniche di lavorazione del tè in Giappone.
La tecnica tradizionale per la produzione del tè in Giappone
È fondamentale sottolineare che le modalità di lavorazione del tè in Giappone oggi sono molto diverse rispetto a quelle di secoli fa.
In passato, il tè veniva lavorato sull’hoiro, un tavolo speciale progettato per l’arrotolamento delle foglie. Il piano dell’hoiro era rivestito da carta giapponese (washi), trattata con succo di cachi per renderla resistente ed elastica. All’interno del tavolo veniva posizionato del carbone caldo, che riscaldava la superficie a circa 37°C, consentendo di essiccare lentamente le foglie mentre venivano arrotolate.
La lavorazione manuale, però, permetteva di lavorare solo 4 kg di foglie fresche alla volta, richiedendo l’impegno di 2-3 persone per 5-6 ore consecutive. Visitando le fabbriche di tè odierne in Giappone, è difficile immaginare quei tempi, ma esistono ancora associazioni dedicate a preservare e trasmettere queste antiche tecniche alle generazioni future.
Lavorazione primaria e secondaria
In passato, l’obiettivo principale della lavorazione del tè era garantirne la conservabilità e un buon sapore durante l’infusione. Con il tempo, il processo è diventato sempre più complesso, ed è oggi suddiviso in due fasi: la lavorazione primaria e quella secondaria.
La lavorazione primaria, come in passato, assicura che le foglie di tè possano essere conservate e infuse con un sapore piacevole. Solitamente, i passaggi principali includono la cottura a vapore, l’arrotolamento e l’essiccazione. La cottura a vapore arresta l’ossidazione, l’arrotolamento rompe le pareti cellulari favorendo l’evaporazione dell’acqua e conferisce alle foglie la loro tipica forma ad ago, mentre l’essiccazione riduce l’umidità, permettendo una lunga conservazione. In sintesi, senza la lavorazione primaria, il tè giapponese come lo conosciamo non esisterebbe.
La lavorazione secondaria, invece, serve a migliorare le qualità organolettiche del tè, includendo passaggi come la cernita, il taglio, la miscelazione e ulteriori essiccazioni. La cernita separa le diverse parti del tè (foglie, gambi, frammenti), il taglio rende le foglie uniformi, la miscelazione perfeziona il sapore e influisce sul prezzo finale, e l’ulteriore essiccazione arricchisce l’aroma con delicate note tostate e riduce ulteriormente l’umidità.
Anche se il tè può essere consumato dopo la lavorazione primaria, la maggior parte del tè giapponese subisce anche la fase secondaria per rispondere alle richieste di mercato in termini di gusto e aspetto.
Perché è da preferire un tè biologico?
La coltivazione biologica del tè adotta metodi naturali come l’uso di compost organico, la rotazione delle colture, senza ricorrere a OGM o sostanze chimiche sintetiche. Le foglie vengono spesso raccolte a mano per garantire la massima qualità e ridurre il danneggiamento delle piante. Le fasi di lavorazione, come appassimento, arrotolamento e ossidazione, avvengono in modo naturale e senza acceleratori chimici. La fissazione e l’essiccazione seguono metodi tradizionali, mentre la cernita manuale e il confezionamento assicurano l’integrità del prodotto. Infine, la certificazione biologica, ottenuta tramite ispezioni e test, garantisce l’assenza di residui chimici e la tracciabilità completa del tè.
Il processo di lavorazione del tè biologico, dunque, segue le stesse fasi principali del tè convenzionale, ma con particolare attenzione alla tutela delle piante e del suolo per preservare la salute della pianta e la purezza del prodotto finale.
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Fonte: Global Japanese Tea Association
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